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Ozone Delta 2 - Shark Nose

Rivoluzione aerodinamica?

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Bocca di Squalo o Naso di Squalo?

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tiger shark nose

 

di Sascha Burkhardt

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[blockquote type=”blockquote_line” align=”right”]Una “nuova” tecnologia fa il suo ingresso nelle entrate d’aria delle nostre ali da parependio: le aperture indietreggiano e realizzano una vera e propria spaccatura dell’intradosso. Questi “nasi di squali” costituiscono una rivoluzione aerodinamica?[/blockquote]

La prima volta che la maggior parte dei piloti di parapendio è venuta a conoscenza dello “Shark Nose” è stata osservando i primi prototipi del modello R11 durante l’inverno 2010/2011. La vela da competizione di Ozone presentava una frattura netta nell’intradosso. Lo scopo principale dei progettisti: assicurare una pressione interna all’ala migliore, ovvero massimizzata per ogni valore di angolo di attacco del velivolo. Una vela che garantisce una buona pressione interna ad alti angoli d’incidenza (velocità minore) offre, tra l’altro, una escursione più ampia dei comandi in tali condizioni ovvero (stallo ritardato). Detto in altre parole: il profilo di una vela classica in mancanza di pressione interna diventerebbe molle e inefficace, perdendo così le sue performances, mentre un profilo “gonfiato a dovere” resisterebbe meglio e assicurerebbe un flusso sano più a lungo. Un altro vantaggio evidente: a bassi angoli di incidenza (velocità maggiori, i.e. in volo accelerato) il mantenimento di una forte pressione interna contrasta maggiormente i collassi della vela.

[reveal title=”COSA E’ LA PRESSIONE INTERNA?” ]La pressione interna di un parapendio non ha niente in comune con la pressione di un gommone per esempio (0.2 bar al minimo quindi 200 hPa), la sovrapressione in rapporto alla pressione atmosferica è relativamente basso. Fred Pieri l’ha calcolata per noi: la sovrapressione varierebbe, su una vela “tipica”, tra 78 pascal a 40 km/h e 180 pascal a 60 km/h, valori corrispondenti a 0.78 hPa-1.8 hPa. Molto poco in confronto alla nostra pressione atmosferica che varia tra i 950 e 1050 hPa QNH. Tuttavia, questa sovrappressione assicura in parte la tenuta della forma dell’ala. D’altra parte e sempre secondo Fred Pieri, 0.80 hPa (0.0008 bar) generano una tensione totale nell’asse della corda del profilo pari a 240 N o 24 Kg. Tale valore non è da sottovalutare.[/reveal]

Non è il primo profilo di squalo

Lo Shark Nose è quindi stato sviluppato per garantire il mantenimento della pressione interna più alta possibile sulla totalità della gamma di velocità. Progettare un parapendio che evoca un naso di squalo non è quindi una novità: già nel 1989, il progettista tedesco Gernot Leibe aveva depositato il brevetto DE 3729934 A1 per conto della società “Aviamecanic Gleitschirme”. In tale brevetto ritroviamo un profilo espressamente nominato “bocca di squalo” che somiglia, almeno al primo sguardo, allo Shark Nose di Ozone.

Ma l’idea di Leibe non è la stessa: lui sperava prima di tutto di diminuire l’enorme scia (ovvero ridurre la resistenza aerodinamica) prodotta dalle bocche aperte dei parapendii della sua epoca. Per questo, bisognava chiudere il naso del profilo con del tessuto, alimentando la vela attraverso le entrate d’aria più indietreggiate sull’intradosso.
Gueule de requin
C’è da dire però che questo nuovo design non è “più tollerante” alla variazione dell’angolo d’incidenza, ed è questa la grande differenza tra “una frattura” (bocca di squalo) e il sistema Shark Nose.

Non c’era solo Leibe che descriveva e utilizzava un “gradino” più o meno pronunciato nell’intradosso. Da tempo, Hannes Papesh di Nova a integrato delle forme simili nelle simulazioni dei profili nel software CFD. E Niviuk per esempio, passando dalla Hook 1 alla Hook 2, ha ugualmente introdotto una frattura all’altezza delle entrate dell’aria. Correva l’anno 2010.

Le ragioni che spingono i costruttori a integrare “nasi di squalo” nei loro parapendii non sono sempre le stesse. Per alcuni, l’arretramento delle aperture permette soprattutto di migliorare il design del bordo d’attacco. Altri lo utilizzano al fine di combattere fenomeni di vibrazioni.
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Per gli sviluppatori Ozone, le soluzioni adottate da altri cotruttori non sono identiche a quelle che hanno portato alla definizione della forma concava dello Shark Nose come apparso nel modello di parapendio R11. Per questo motivo, OZONE ha depositato all’ INPI (11 marzo 2011) il loro brevetto di “rinforzo sull’intradosso” che dovrebbe “massimizzare i coefficienti di pressione interna al variare degli angoli d’incidenza”.

Inoltre, dovrebbe produrre “relativamente poche scie superflue” – un’altra differenza notevole in confronto al brevetto del 1989 depositato da Gernot Leibe, che è per altro espressamente evocato nel deposito di Ozone.

triple sevenNel frattempo, altri costruttori hanno lavorato con dei bordi d’attacco sempre più indietreggiati e/o con una frattura più pronunciata: sull’Icepeak 6 di Niviuk, ciò è decisamente visibile. Il costruttore TripleSeven denomina la sua soluzione BPI “Back Positioned Intake” e l’utilizza quasi su tutta la gamma di vele in produzione. GIN modifica il naso del Boomerang 9 e dell’Atlas. La maggior parte di questi costruttori si avvicina d’ora in poi al “vero” Shark Nose: diversi progettisti riconoscono l’utilità della forma concava della bocca. Sarà interessante vedere fino a che punto questa tecnologia verrà adottata nelle vele intermedie, se non addirittura nelle vele scuola. Le marche che desiderano integrare questa tecnologia, possono farlo senza pagare delle royalties perché al momento della pubblicazione ufficiale del brevetto Shark Nose nel settembre 2012, Ozone annunciava di non voler mantenere l’esclusiva di questa tecnica. Luc Armant lo giustifica: “Essendo il nostro mestiere quello di disegnare e costruire vele, abbiamo deciso di lasciare libero l’utilizzo del nostro brevetto, domandando ad ognuno di voler ben rispettare la paternità. L’interesse del brevetto, è anche quello di condividere la soluzione tecnica”.

Per far meglio comprendere il modo in cui il team di sviluppo di Ozone vede i vantaggi delle forme concave nello Shark Nose così come è stato brevettato, Fred Pieri ci spiega i dettagli a seguire.

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Il Naso di Squalo (Shark Nose) di OZONE

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di Fred Pieri/OZONE

[blockquote type=”blockquote_line” align=”right”]Ozone, ci spiega in dettaglio il funzionamento, i segreti e i vantaggi dello Shark Nose…[/blockquote]

Perché attaccarsi al naso?

corda apertura alarePotremmo affermare che un parapendio è simile ad una busta con un particolare profilo. Un profilo aerodinamico particolarmente progettato al fine di generare portanza. Questa componente della forza aerodinamica totale generata dal parapendio serve anche a “tendere” il parapendio lungo l’apertura alare. Contrariamente, lungo la corda alare, le componenti della forza aerodinamica sono quasi del tutto trascurabili. È però la pressione all’interno della vela che “tende” il parapendio lungo l’asse delle corda alare.

Ora, anche se abbiamo recentemente provato con la XXLite che si può volare senza pressione interna, abbiamo anche misurato la sua importanza, ed in particolare il suo contributo nel atto di variare l’incidenza del profilo. Variare l’incidenza permette semplicemente di far variare la velocità del nostro mezzo.XXL Più è alta questa pressione interna, migliore è la tenuta meccanica della vela, maggiore è di conseguenza la possibilià di avere un range più elevato di velocità in cui il nostro mezzo è in grado di operare.

Scopo del progettista è quindi, tra l’altro, massimizzare questa pressione. Daltra parte, il valore di quest’ultima, ha un limite superiore nel senso che tale valore non può oltrepassare certi limiti!

La zona di un generico profilo alare perpendicolare alla traiettoria delle particelle d’aria viene denominata punto d’arresto.
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All’ intorno di questo punto i la traiettoria del fluido si separa, una parte di esso passerà attraverso l’intradosso e l’altra attraverso l’estradosso del profilo.

Per ogni una velocità (angolo di incidenza), la pressione attorno al profilo è quindi massimale nella zona del punto d’arresto.
Come ingenre in kleteratura aerodinamica, prendiamo a riferimento tale massima pressione per definire le pressione che si genere nel resto del profilo, Definiamo quindi coefficiente di pressione (CP), così la pressione al punto d’arresto è pari a 1, CP=1.
Cp=0.5 vuol dire che al punto di misura abbiamo la metà della pressione del punto d’arresto.

E’ quidni evidente che un buon design consiste nel porre l’ingresso d’aria nella zone del punto d’arresto al fine per ottenere una pressione interna con CP = 1.
Ma cosa succede al variare dell’ incidenza e quindi della velocità? Principalmente, tale punto di arresto varia la sua posizione lungo il profilo.

Di qui la necessità di trovare un compromesso

  • Se si pone l’entrata dell’aria davanti il campo di spostamento del punto d’arresto, si ottiene un’eccellente pressione interna con incidenza debole (volo accelerato), ma il contrario sui grandi angoli di incidenza (volo frenato). Questo produrrà una vela con un gonfiaggio sbagliato che in più avrà difficoltà ad uscire da stalli paracadutali.
  • Se si pone l’entrata d’aria dietro il campo di spostamento del punto d’arresto, al contrario si genera una buona pressione sui grandi angoli sicuramente con una buona lunghezza dell’oscillazione dei freni. Ma a bassi angoli d’incidenza la pressione interna sarà irrisoria, con conseguente effeto di indebolimentop meccanico e deformazioni quando si accelera. Ovviamente poi a partire da un certo angolo in poi l’entrata d’aria passa viene a trovarsi in una zona di depressione: collasso frontale del parapendio.

Allora cosa fare?

Nella maggior parte dei casi, l’entrata d’aria di un parapendio viene posta al centro del range di variazione della posizione del punto di arresto con una dimensione di abbastanza grande. Tale è un compromesso che si può accettare e diciamo che tutti i progettisti optano per una soluzione del genere. Ma vediamo se siamo in grado di migliorare tale design.

1. Una delle soluzioni possibili sarebbe quella di realizzare un’apertura che sia tanto grande quanto il campo di spostamento del punto d’arresto. Sfortunatamente, la pressione all’interno della vela non è la somma delle pressioni sul livello dell’entrata d’aria ma piuttosto qualche cosa che si avvicina alla media. Un parapendio con un’entrata d’aria molto grande avrebbe alla fine una pressione interna sempre meno buona che con una misura classica dell’entrata d’aria. Con in più un comportamente povero agli alti angoli di incidenza: uscita difficile dalla paracadutale, dallo stallo, dalle viti e un comportamenco scadente anche ai bassi ancgoli di incidenza: deformazioni del profilo e frontali.

2. Un’altra soluzione è quella relativa all’utilizzo di valvole. Si possono infatti immaginare due entrate d’aria, ognuna avente una valvola che si chiude quando la pressione interna è superiore alla pressione davanti l’entrata d’aria. È una soluzione ottima dal punto divista teorico ma molto difficile da realizzare nella pratica, facilitando la presenza di fughe, aumentando la difficoltà di produzione e quindi il costo della vela e lasciando spesso delle asperità sulla superficie dovute alla costruzione, generando quindi uin amento della resistenza aerodinamica.In passato tutti i costruttori hanno cercato di adottare una soluzione che prevede l’utilizzo di linguette di tessuto a mo di valvole. Ma nessuno ha di fatto realizzato di fatto una soluzione globalmente accettabile.

3. Un’ultima soluzione per cercare di raggiungere il compromesso, consiste nello scalare di una tacca verso il basso il pannello d’intradosso, come lo mostra il seguente schema. (vedi immagine pag.10). Questa forma di profilo permette di avere una posizione d’entrata d’aria molto arretrata sempre conservando una buona pressione interna anche a bassi angoli di incidenza. L’inconveniente di questo profilo è semplicemente la tendenza a generare un discacco dei filetti fluidi a valle di tale gradino (scia -> aumento della resistenza). La rottura del flusso genera un surplus di scie a bassi angoli di incidenza e, in caso di collasso del profilo, questa rottura provoca una turbolenza nella zona di ingresso dell’aria e ciò non facilita di fatto la ripresa del volo a valle del collasso.

La soluzione Shark Nose

L’idea “Shark Nose” è quella che consiste nel realizzare una parte concava nel campo tipco di spostamento del punto d’arresto.
Questa parte concava di fatto riduce considerabilmente la misura del campo di spostamento di questo punto d’arresto. Prima di continuare, ecco uno schema che permetterà una visualizzazione migliore, al fine di comprendere meglio quanto affermato.
Consideriamo questa questa parte concava come una zona di rallentamento dei filetti fluidi. Possimo di fatto defilnirmo come l’inverso di un effetto “venturi”. A fronte di una configurazione delgenere le aprticeklle di fluido tendono a rallentare.
Sappiamo d’altra parte che, più l’aria rallenta in una zona, più il CP di questa zona si avvicina al valore unitario. Il caso estremo è il punto d’arresto velocità nulla (CP =1).

Uno dei vantaggi maggiori di uno Shark Nose è la simmetria: funziona esattamente nella stessa maniera indipendentemente dal verso in cui il flusso investe il profilo.

In Basso troviamo lo stesso schema della fine di pagina 10, ma con dei profili Shark Nose: questa simmetria accoppiata alle sue forme arrotondate permette a questo profilo di avere un buon funzionamento sia ai bassi angoli di incidenza che alle alte incidenze senza aggiunta rilevante aumento di resistenza aerodinamica.

In più, facendo si che il punto d’arresto sia meno mobile, possiamo ridurre la dimensione dell’entrata d’aria e quindi recuperare una migliore omogeneità delle pressioni a monte della stessa.

Ecco un grafico che presenta la pressione interna di un profilo classico e di un profilo Shark Nose in funzione dell’incidenza.

A seguire due grafici completi “un po’ barbari”, che rappresentano la pressione lungo l’intradosso del profilo in funzione dei 3 angoli d’incidenza per un profilo “normale” e poi per uno Shark Nose.

Più la zona a V è piccola, più è facile piazzare l’entrata d’aria in corrispondenza, più la zona a V è vicina al CP=1, più la pressione all’interno della vela è consistente.

Sul profilo Shark Nose, possiamo chiaramente notare una zona di spostamento del punto d’arresto notevolmente ridotta, Ideale quindi per permetter ai progettisti una ottimizzazione del piazzamento dell’entrata d’aria di un profilo per parapendio.

Ma quali sono i vantaggi in aria per un pilota SHARK NOSE?

Lo Shark Nose apporta quanto segue:

1. Riduzione della velocità di stallo, e conseguente allungamento escursione dei comandi: utile in termica per rilanciare una virata in una termica un po’ più forte o per atterrare su un decollo un po’ più tecnico che richiede maggiore precisione.

2. Una solidità aumentata del profilo alle alte velocità, il guadagno di pressione interna permette di spingereil modello R11 a più di 70 km/h.

Lo Shark Nose ha permesso all’ R11 di essere senza dubbio la vela con un range di velocità più ampio rispetto a vele della stessa classe proposte da altri costruttori. Tale vela ha presentato inoltre una riduzione della resistenza delle entrate d’aria, minore spessore del profilo generando un rimarcato guadagno durante la salita in termica.

I punti di cui sopra hanno motivato Ozone a depositare un brevetto.

Cronostoria e situazione attuale

Ritorniamo un po’ alla storia dello Shark Nose di Ozone. La prima bozza di Shark Nose è comparsa nel tentativo di realizzare un profilo che desse un buon comportamente a bassa velocità e una buona pressione interna ad alte velocità. Dopo aver cucito rapidamente un prototipo, Ozone ne ha validato la fattibilità tecnica e ha cercato di semplificare al massimo la soluzione la fine di ottimizzarne la produzione.

Ozone ha quindi deciso di relaizzare l’ R11 con questo profilo. Dico “questo profilo”, ma già in una settimana di brainstorming e di simulazione numerica, non aveva alcun legame con il primo profilo se non la paternità e il nome!

Il prototipo arriva, e dopo aver realizzato qualche aggiustamento della vela, possiamo alla fine notare il guadagno di velocità sperato, che fu d’altronde largamente più importante di quanto si sperava, con in più un aumento della deflessione del freno. Che felicità! È così che è cominciato il progetto R11.

Nel frattempo abbiamo riflettuto per elaborare questo brevetto. Qualche mese più tardi le R11 e lo Shark Nose vengono scoperti dai piloti che si accaparrano la maggior parte dei podi durante la stagione 2011.

Poi il parapendio prende una svolta politica, e le vele “open class” sono vietate dalle competizioni. Lavoriamo quindi su una versione omologabile di una vela da gara: diversi prototipi vengono provati, le versioni con lo Shark si comportano bene, ma essendo i primi a portare all’omologazione una vela di questo tipo, non abbiamo voluto scuotere troppo le “abitudini”: una EN D in 2 linee e a 7.5 di lunghezza era già troppo choccante. In seguito altre marche portano la loro vela, alcuni con dei “Shark Nose maison”, che mostrano lo stesso vantaggio del nostro.

Durante questo periodo negli uffici Ozone, le ricerche e le prove su questi profili sono continuate a pieno regime, migliorandoli sempre più. E all’INPI il nostro brevetto avanza lentamente nelle procedure di convalida. Alla fine abbiamo ricevuto la lettera di convalida del nostro brevetto nel novembre 2011, reso pubblico nel settembre 2012.

La grande domanda ora che tutti si pongono è: “Cosa facciamo con questo brevetto?”. In teoria un brevetto permette al suo titolare – in cambio di rendere pubblica la sua tecnologia- un vantaggio giuridico per far applicare un divieto operativo a un concorrente o per stabilire un sistema di licenze.

Visto che nella documentaione necessari a per il brevetto è tutto ben spiegato, è un po’ come se fosse un manuale d’uso.

Dato che Ozone non aveva né voglia di far pagare per una tecnologia, né voglia di fare gestire connessi procedimenti giuridici, essendo il fine quello di ottimizzare il design di un parapendi, abbiamo lasciato libero l’utilizzo del brevetto, chiedendo ai costruttori solamente di incollare un piccolo logo sulla vela laddove questa soluzione venga adottata.

Ozone è estremamente fiera di questa innovazione e ancora più fiera che questa partecipi all’evoluzione del nostro sport.

Lo Shark Nose di Ozone continua il suo cammino tra le termiche, e vede l’inizio della sua applicazione nelle vele a giro per il mondo, come per esempio il Delta 2.

Traduzione: Francesca Fiorini

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